Smartz Records
smartz records / label, releasesfile under:
Smartz releases
Red Worms' Farm - Cane gorilla serpente - 12" LP
Red Worms' Farm - Cane gorilla serpente
La versione vinilica del quarto album dei Red Worms' Farm (CD disponibile su Infecta), una delle migliori live bands della penisola. Potentissimo post punk in 10 tracce, tra Devo e Gang of Four leggendo Douglas Adams. 120 copie in giallo (ordinabili via mailorder) e 400 in nero. Figherrimo!
Vinyl version of the 4th album of Red Worms' Farm (CD available on Infecta), one of the best live bands in Italy. Powerful post punk in 10 tracks, between Devo and Gang of Four reading Douglas Adams. 120 copies on ltd yellow vinyl (available via mailorder) and 400 in black. Huge!
Tracklist:

A1. Beastie
A2. Help me
A3. Everybody
A4. Atmosphere
A5. Fourty two
B1. The kingdom rules
B2. Less is more
B3. Devo
B4. Kill my brother
B5. Whatever for us
Released by Smartz, Infecta, Fooltribe.
SM043 - 12" LP 2009 - 12 € 10 €

Reviews

Audiodrome
«Cambiamento di etichetta per il power trio padovano – dalla Fooltribe di Tiziano Sgarbi alla Infecta - ma ancora ben salde le radici del loro suono nel post-punk, con spruzzatone di new wave moderna a rendere divertenti e “anthemiche” le 10 tracce di Cane Gorilla Serpente. Ritmo serratissimo, quindi, scandito da chitarre in costante tensione e sezione ritmica priva di basso che fila via a cassa dritta, con qualche incursione elettronica qui e là per insaporire le scariche di adrenalina provenienti da ogni pezzo, breve e ammaliante come una tempesta di fulmini. Disco di durata minima, dunque, come in fondo è giusto che sia per una ricetta a base di Devo (omaggio nell’omonima canzone?), Gang Of Four e spigolosità cupe, il cui unico difetto è quello di correre il pericolo di risaltare poco - nonostante il valore - in un mercato sovraffollato da proposte analoghe, dotate di sostanza o meno che siano. Per cui si può considerare valido un “si poteva rischiare di più”, ma godiamoci senza troppe pippe mentali questi ventisei minuti senza respiro e densi di divertimento.» (Giampaolo Cristofaro)
Blow Up
«Riecco finalmente i paladini dell'autosufficienza italica, perennemente in credito con lo sfondamento. E anche stavolta è un tuffo al cuore: parte Beastie e si fa vivo il concetto di legna rock, irresistibili montano i refrain miracolosamente pop, una volta che la concitazione livey esce di scena per fare largo a un songwriting di lusso, compiuto in sé (e a questo punto i formidabili concerti diventano altro-dal-disco, tonante appendice). Uscito dalla nuova struttura Infecta e prodotto da Manuele Fusaroli, "Cane gorilla serpente" rinfocola il meglio di Pierre, Matteo e Marco, "che senza il basso si fa lo stesso": diamanti quali Atmosphere e Kill my brother non paiono davvero sentirne la mancanza. Inni da cantare a squarciagola tutti assieme (The kingdom rules). scuotendo la tes ta e battendo il piede: niente di più, niente di meno. Ed è quanto basta a far sentire vivi. Presto, qualcuno li faccia diventare ricchi! (8) Enrico Veronese» (Enrico Veronese)
Debaser
«Cane. Gorilla. Serpente. Questo disco ha la fedeltà di un cane. Fedele, perchè riesce a mantenersi sugli splendidi binari che già avevano caratterizzato le precedenti uscite dell'omonimo esordio (2000), di "Troncomorto" (come il quartiere padovano dove sono nati e cresciuti, 2002) e del favoloso "Amazing!" (2005). È un lavoro semplice, ridotto all'osso: chitarre/batteria (no bass) e una ritmica che taglia, sferruzza, spinge, pulsa. Post-punk venato di accelerazioni hardcore, brani brevissimi, tiri terrificanti da due minuti-due minuti e mezzo al massimo, se non di meno, da subirsi in un colpo per poterne sentire la potenza sottocute. (Essenziali) testi in inglese, smozzicato alla bell'e meglio, con una pronuncia sì fallace, ma pregna di un vigore e di una ciclicità infuocata. Una trappola da cui non si può uscire e a cui, francamente, non si potrebbe rinunciare così facilmente. Dieci pezzi per venticinque minuti totali. Fedele, perchè circolare: parte con un intento, si chiude con la completazione dello stesso. Down-tempi incalzanti, massacrati di bacchettate, trovano fine in down-tempi incalzanti, massacrati di bacchettate ("Atmosphere"). Coerenza fino alla nausea, ma la nausea è l'ultima cosa che può sovvenire, eccetto la noia: inserti elettronici che gorgogliano ed evaporano, lasciando intravedere frotte di riff pronti a scatenarsi ("Everybody"). Nessuna spiegazione, nessuna complicazione: potrebbe essere altrimenti? "You stay up, you stay down, don't make me nervous/ Go straight up to the door, you know the answer". Questo disco ha la possenza di un gorilla. Dietro le pelli non c'è un uomo, non c'è un batterista: c'è Matteo Di Lucca, un gladiatore. Uno che non ama lasciare l'ultima parola agli altri. E coglie ogni occasione per esplicarlo all'ascoltatore. Ogni colpo sui tamburi è una dichiarazione, un intento di guerra, un assalto alla baionetta: finchè va bene. Altre volte, invece, la bacchetta si trasforma in un panzer, pronto a fare fuoco, salvo poi accelerare secondo per secondo in un finale convulso e muscolare (i tribalismi di "Beastie"). Oppure, ecco che una base chitarristica nervosa e ricca di stop & go (qualcuno ha detto forse Fugazi? Sì, corretto) viene mitragliata da un esercito di paradiddle del tutto autonomi, un'incontrollabile invasione percussionistica, veloce e ferina, per pirotecnici d'antan ("The Kingdom Rules", la migliore del lotto). Una presenza che non traspira solo robustezza, ma anche un certo grado di inventiva e regolarità, fra le sei corde che sbuffano e gemono mentre si rincorrono l'un l'altra (l'autoironica "Help Me!", con percosse da fabbro). I've got an enemy in my shoes, too. Questo disco ha la velocità e l'intelligenza di un serpente. Stupisce come i Redworms' Farm, nell'impasto minimale della loro ormai assodata formula, riescano comunque ad inserire sempre nuovi elementi esterni che diano un po' di colore all'identità finale. Ai tre piace svariare, anche se spesso non gli viene consentito più di tanto, come succede in "Devo", per metà tributo alla sfigatissima band americana degli anni '80 e per l'altra metà brano electro-funk un po' moscio, sulla scia di Atari e Disco Drive. Ma certo non ci si può perdere d'animo così facilmente: la bellissima "Forty Two" -citazione presa direttamente da "Guida galattica per gli autostoppisti" di Douglas Adams- è un sibilante duello fra le due chitarre al compulsivo dettamo di "hitchiker's guide", con inserti di sax (suonato dall'ottimo Manuel Fusaroli) e tromba a sfrondare un accenno di catarsi sul finale. "Rhytm Is A Dance", cantavano pochi anni addietro, ora forse direbbero un qualcosa che assomiglia a "Rhytm Is (A) Law". Meglio ancora va a "Less Is More", velocissimo e scoppiettante post-hardcore tra Jesus Lizard e Sonic Youth tutto in crescendo, coronato dal vocoder, o a "Kill My Brother", spigolosissimo garage-funk sorretto da un riff terremotante. Infine, cane, gorilla e serpente si ritrovano, si guardano e si riuniscono in una sola immagine zoomorfa. Ci salutano, compatti e determinati, con "Whatever For Us" dove, chiaramente, ci indicano che "Dig in the underground, we wanna stay in the underground/ Things can be dangerous, we wanna stay in the underground" - underground, s'intenda, come hinterland, non come scena indipendente - ed intanto sezioni ritmica e chitarristica mulinano e pestano come non mai. Cane is Pierre Canali who plays guitar and vocals. Gorilla is Matteo Di Lucca who plays drums and vocals. Serpente is Marco Martin who plays guitar and vocals. "Cane Gorilla Serpente", Redworms' Farm, A.D. 2007. They are returned, ready to R.O.C.K.» (Bisius)
Indie-Zone
«Quella dei Red Worms’ Farm è una storia breve ma già densa di lavori, essendo questo Cane Gorilla Serpente il quarto album del trio padovano. Ritenuti una delle band migliori dal vivo la band giunge all’appuntamento col quarto album con grandi aspettative addosso: aspettative che vengono parzialmente disilluse. L’inizio con Beastie è dei migliori, con la batteria a scandire il tempo a mò di marcia e le chitarre a fare da contraltare, mentre il resto dell’album resta troppo appeso alla funzionalità delle poche note che ci stanno alla base. Fra gli episodi riusciti vale la pena ricordare Everybody, la cavalcata sfrenata e tagliente nei suoni di Forty Two (ed il testo derivato dalla Guida galattica per autostoppisti merita un applauso, anche se sul fronte testi non c’è molto altro da rimarcare positivamente), il ritmo accattivante e la coesione delle chitarre di Devo, l’energia strabordante di Kill My Brother…ma mezzo album piacevole non cancella la sensazione generale di qualcosa perso per strada, sensazione acuita da brani piatti e statici come Atmosphere, The Kingdom Rules e Less Is More, a cui il “tiro” non basta per rendersi interessanti. Un album a due facce questo Cane Gorilla Serpente (alter ego dei tre componenti della band, ma questo probabilmente lo sapete già), che vive di momenti piacevoli come di altri decisamente banali, reiterando eccessivamente riff che non sempre sono abbastanza incisivi per reggere l’intero brano. Un’occasione mancata, perché certe atmosfere divertenti e danzerecce (Everybody la potreste ballare in qualsiasi locale rock),in cui la scorza punkettara viene contaminata dal sound d’oltremanica, potevano essere il preludio per qualcosa di meglio: ora come ora questa nuova uscita dei Red Worms’ Farm rimane solamente un disco che vive di qualche buon episodio, nulla di più.» (Stefano Ficagna)
Kalporz
«Dire “indie” in Italia ormai sembra un po’ un insulto. E anche a ragione. Sempre più spesso ci ritroviamo sommersi da una deriva imbarazzante per cui l’indie è privo di energia, ricolmo di suonini carini stupidini simpaticini, programmato al millimetro per avere, se non la sicurezza artistica, almeno quella di una fetta di pubblico che sempre più spesso si fa rappresentare da una maglietta invece che da un suono. Poi ci sono le eccezioni. Ad esempio i Red Worms Farm (per l’occasione redwormsfarm, ma scrivetelo un po’ come vi pare), che rientrano nella zona a basso rischio paraculaggine e ad alto ritmo serrato. Il loro ultimo disco, “Cane Gorilla Serpente”, è infatti forse l’episodio più fulminante della loro carriera. Da parte loro hanno la grinta del post-punk, che ha fatto e continua a fare degni proseliti (basti citare le ultime uscite di Altro e Disco Drive), che mette un po’ da parte quel minimo di melodie orecchiabili per puntare sull’ossessione di poche righe di testo ripetute fino alla paranoia. Le due chitarre che sanno tagliare e le ritmiche serratissime di Matteo Di Lucca sono quello che bastano per tirare fuori dal cilindro una delle uscite più degne di questi ultimi tempi nostrani. Pochissime righe di testo, pronunciate in un inglese spesso da denuncia (unico vero difetto della band), ma che sembrano cori fatti apposta per essere urlati a squarciagola da gruppi di infoiati saltellanti, fra la new wave più corrosiva alla Gang Of Four e quella delirante alla Devo (probabilmente omaggiati nel brano omonimo). Si sprecano i riff che sanno quasi di punk-funk (“Kill My Brother”) e ad un certo punto sbuca pure un sassofono che nella coda di “Forty Two” trasforma il brano in un sorprendente ska-core. Quelle quattro nozioni di pronuncia inglese di base porterebbero “Cane Gorilla Serpente” su lidi ben più lontani, ma ciò non toglie che si tratta di una delle migliori uscite italiane dell’ultimo anno e qualcosa che, personalmente, non esiterei ugualmente un secondo ad esportare. Gridando fieramente, per una volta tanto, “INDIE!”.» (Gabriele Maruti)
Kronic
«tagalternative rockpost punknoisehardcoreInfecta Suoni e AffiniRed Worms`Farm O di come gli animali possano mangiarci senza problemi digestivi I comunicati lo spiegano con sintetica spigliatezza: in "Amazing!" i Red Worms`Farm erano dei bambini intenti a bere una bottiglia di veleno. Sorseggiata la pozione i tre sono cresciuti, diventando Cane (Pierre), Gorilla (Teo) e Serpente (Marco). Ad obiettare, volendo, c`è la questione della crescita che, per chi si nutre dell`impatto padovano da anni, sembrava già evidente dalle prove precedenti. Tuttavia sono questioni di lana caprina: la sostanza, già scritta in tempi non sospetti, è semplice e pragmatica. I RWF restano il miglior gruppo italiano della presunta indiesfera (per chi voglia vivere e ascoltare musica, si intende), dando tutto nei live (si sa) ed anche nei dischi (da almeno un pò). La differenza col passato è forse una maggiore consapevolezza della canzone, manifesta in episodi concisi il giusto e di cui non scarteresti nulla, sviluppata attraverso un esaustivo lavoro sulle parti vocali. Eppure (ed è il complimento migliore) i nostri sono i soliti, sfrontati nel maneggiare una presunta attitudine pop più utile a chi scrive, per tentare di far risaltare una qualche forma evolutiva, che a loro, impegnati in realtà nel colpire con forza stomaco e cervello. Si intenda bene: l`urgenza rabbiosa è manifesto, la claustrofobia dei brani (genetica) in qualche modo tende ad aprirsi (senza per questo cancellarsi) e l`incessante modo ripetitivo altro non è che l`ennesimo manifesto di una proposta fedele a se stessa ed incredibile per la capacità di non sfociare mai nel modernariato. In tutto ciò la maggiore cura del particolare (arrangiamenti, strutture pienamente definitive, impeti ricercati) evidenzia la genialità del numero dieci, che dopo due assist ed una partita ricca di concretezza, trova pure il tempo per segnare un gol partendo dalla propria area. Da bravi gregari garantiamo di essere pronti a sudare per lui, ad ogni partita/concerto che ci vedrà in campo.» (Marco Delsoldato)
Mescalina
«Trovare una definizione al genere suonato, ma non inventato, dalla band padovana non è mai stato facile: con il loro omonimo primo disco avevano fatto un gran chiasso con un rock mischiato ad una particolare miscela di hard core istintivo e con “Amazing” poi (2005) fecero il botto inventandosi particolari melodie. Oggi Pierre (il Cane), Teo (il Gorilla) e Marco (il Serpente), loschi “vermi” come in un western di Sergio Leone, danno una sonora lezione di stile e maturità, trasformando ogni debolezza passata in un punto di forza. La struttura del nuovo disco non viene stravolta più di tanto, siamo di fronte ancora una volta allo stesso impatto prodotto da un indie rock viscerale che trasuda una sostanza fondamentalmente meccanica e industriale, sia nella ritmica che nelle chitarre. I RWF sostituiscono l’andamento scanzonato e danzereccio con un power rock dal profumo di punk, riuscendo per un attimo ad introdurre una dose di “sperimentalità” con l’unico apporto strumentale esterno nel sax di “Forty Two”. Insomma lo scenario preferito dal power trio padovano sono ancora le lande deserte delle periferie del nord est che portano il nome del quartiere in cui sono nati (Troncomorto), sempre più duro, più rumoroso e freddo. Il noise si è fatto più ripetitivo e ricercato: questo è sintomo di coraggio, senza trascurare la voglia di comporre melodie sempre brevi, incastonate e splendide in questa sordo ingranaggio musicale come ci ricordano “Help Me” ed “Everybody”. Per la seconda volta consecutiva i Red Worms’ Farm si aggiudicano il podio come una delle migliori uscite indipendenti di questo 2007 appena concluso.» (Vito Sartor)
Mtv.it
«Dieci chiodi piantati nel muro dell'indie italiano. Alla terza prova sulla lunga distanza (e ottava uscita discografica) il terzetto padovano incastra dieci pezzi d'acciaio temperato. "Cane Gorilla Serpente" (Pierre Canali il Cane e Marco Martin il Serpente alle chitarre, Matteo Di Lucca il Gorilla alla batteria) non sarà una deflagrazione a cielo aperto come lo fu il precedente "Troncomorto", ma i tre vermiciattoli del noise italiano hanno già dimostrato cosa sanno fare (soprattutto live) e ora è il momento della maturità. "Beastie" è la opening track perfetta: ritmica, satura, anthemica e industriale al punto giusto da spaccare anche live. Sulla stessa linea di chirurgia compositiva stanno "Everybody", "Forty Two", (il tributo alla band seminale del techno rock) "Devo" e la torrenziale "Kill My Brother": secche, essenziali, tra Gang Of Four e la noise wave dei padrini Sonic Youth. Ma più che estrapolare qualche pepita di carbonio è la compiutezza nevrotica ed essenziale del tutto a dare il senso di un album in cui i Redwormsfarm si spingono un altro passo in avanti nel loro processo di sottrazione. Da (almeno) ascoltare per chi vuol fare il punto sullo state of the art dell'indie italiano. MTV.it LIKES... "Beastie", "Everybody", "Forty Two"» ()
Onda alternativa
«Ottava pubblicazione e terzo album per i RedWormsFarm, che si sono fatti aspettare per ben due anni e mezzo dai fan e dai tanti rimasti folgorati dall’ascolto di Amazing, disco che ha confermato la band come migliore dell’anno all’interno del panorama indie e noise italiano. Un periodo certamente lungo che però ha dato modo ai tre padovani di dedicarsi non solo alla stesura dei nuovi pezzi, ma di dar spazio soprattutto ai live senza così perdere l’essenziale contatto col pubblico, cordone ombelicale che, proprio mentre si stava consolidando il loro successo, non era possibile tagliare. Ed ecco che, con la dovuta calma, si ottengono come sempre i risultati migliori. Certo è però che la pazienza da sola non basta perché, se il tuo talento ti impone dei limiti, stai pur sicuro che più di tanto in avanti non puoi andare. Ma questa è un’altra storia perché (c’è bisogno di dirlo?) i RWF il talento l’hanno inscritto nel dna e ciò che sanno trasmettere non solo sul palco ma anche attraverso le tanto anonime casse è una scarica di adrenalina pura, che ti travolge e non lascia spazio ad ulteriori delucidazioni. I tre bambini che al posto del biberon assaporavano dalla bottiglia l’amaro gusto del veleno si sono evoluti, per loro stessa definizione, e sono diventati un cane, un gorilla ed un serpente. Cane (Pierre Canali) suona la chitarra e con splendida disinvoltura tira fuori quella voce che ti aspetti di sentire solo nelle tue fantasie: graffiante, essenziale e a tratti adolescenziale. Gorilla (Matteo Di Lucca) fa da collante con la sua batteria dettando i tempi e creando delle basi alle strutture sonore dalle ritmiche semplici, dirette ed efficaci. Si diletta nei cori e contro canti con Serpente (Marco Martin), che proprio come il temuto rettile muove sensuali le corde del suo basso velando le atmosfere dei brani con opachi strati noise. Se la prima impressione poi è quella che conta, “Beastie” è l’immancabile cavallo di battaglia con cui la band ci invita all’ascolto della sua ultima creatura. Una marcetta iniziale ci trascina all’interno del brano e rapisce l’attenzione grazie a riff travolgenti e cori dall’incredibile forza seduttrice. Sicuramente uno dei pezzi migliori del disco e quasi certamente ancor preferibile in versione live. I toni non si abbassano neanche per un attimo e anche questa volta chitarra, basso e batteria riescono a creare in “Help Me!” intrecci favolosi su cui si dispiega argutamente il pezzo. “Everybody” e “Atmosphere” sono invece due brani molto simili, di stampo punk noise sicuramente esplosivi dal vivo, che incantano con i soliti cori e la solita, incredibile, energia che riescono a trasmettere. “Fourty Two” gioca su riff che si ripetono con cadenza e sui suoni aspri della parola “Hitchhiker” (che forse ai più riporterà alla mente il nome di un programma freeware). I toni su cui si punta per tutto l’album sono quasi sempre li stessi: tempistiche su di giri, impronte noise, ma soprattutto punk, indie e brani che, nonostante le relative somiglianze fra loro, riescono sempre a creare atmosfere diverse e mai scontate. Un disco completo sotto tutti i punti di vista, che certifica la crescita e la maturazione di questi tre ragazzi. Semplicemente geniale.» (Alessandra Sandroni)
Ondarock
«Partiti con esperienze slowcore simil-Codeine (ma mai fissate su supporto fonografico), i Red Worms’ Farm sono ormai diventati una piccola istituzione del rock alternativo italico. Base nei dintorni di Padova, precisamente nella località Troncomorto (una sorta di quartier generale del rock alternativo del circondario), la band si presenta presto come una variante spiritata del verbo fugaziano-wave. A partire dal primo lavoro omonimo (Halley, 2001) e un secondo album ufficiale (“Troncomorto”; Fooltribe, 2002), e continuando con comparse su compilation e split (notevole quello con To The Ansaphone), la loro estetica post-punk approda al tocco di classe con “Yeah, Yeah Everything” (nel terzo album “Amazing!” del 2005), un anthem post-punk scattante degno delle abrasioni dei primi Liars. L’ultimo “Cane Gorilla Serpente” si adegua al motto del “squadra che vince non si tocca”. A parte gli striminziti inserti di elettronica in post-produzione (e una minuscola parte di ottoni che suona quasi comica), e l’involuzione a un suono meccanizzato che lavora al meglio nelle piste da ballo alternative, il trio dimostra le sue reali competenze nelle parti in cui decide di apporre un minimo di rielaborazione sonica: “Forty Two”, un panzer di riff e di batteria in continua pulsione (con inserti di sax e fanfare) che rimanda alle esperienze più terrifiche di Pil e Gang Of Four e “The Kingdom Rules” è una sorta di versione light (cioè tonale) dei Laddio Bolocko nel suo incedere torrenziale (notevole il lavoro di batteria). Le tracce minori sono un semplice deja vu (sia per loro stessi, sia in merito a tutto il revival hardcore e punk-funk): “Less Is More” (una brutta copia dei Gang Of Four di “Solid Gold”), “Devo” (un tributo sui generis alla band madre del techno-rock, ma molto più vicina ai Mission Of Burma), “Kill My Brother” (roboante e inutilmente acrobatica), “Atmosphere” (cantata e pestata, ma appiattita nella ripetizione elementare del riff), “Whatever For Us” (quasi un plagio dei nostrani Carniful Trio e dei primi Xtc), “Help Me!” (una striminzita filastrocca emocore fortemente debitrice di “Daydream Nation”). Troppo furia cieca senza cervello, il quarto disco su lunga (ma corta) distanza del power-trio padovano (Pierre Canali e Marco Martin alle chitarre, Matteo Di Lucca dietro i tamburi) si può fregiare del merito-vergogna di mettere in fila riff banali per il puro gusto di farli risuonare a incastro nel groove della batteria sofisticata. La formula stavolta funziona per meno della metà, complici la febbre da rave music amatoriale, gli imbarazzanti cori stereotipati, la concertazione piatta che suona come un grezzo copia&incolla.» (Michele Saran)
Rockit
«Più di qualsiasi altro gruppo italiano, i Redwormsfarm (tuttoattaccato, tuttod'unfiato) sono una band live. Per molti, sono addirittura la band live. Un titolo che chiunque sfoggerebbe con un certo orgoglio. Ma i tre vermiciattoli hardcore sin dall'inizio hanno mostrato un po' d'insofferenza per questa definizione. "Sembra che i dischi che facciamo non riescano a catturare l'energia dei nostri concerti – disse qualche anno fa Marco Martin, cantante, chitarrista e serpente del trio – Rispetto le opinioni di tutti ma secondo me non è così". C'era del vero sia nella tesi (i dischi non hanno lo stesso impatto dei concerti) e nell'antitesi (i dischi hanno comunque una potenza notevole). Dal vivo – tesi – i Redwormsfarm sono prepotenti. Sono in grado di infiammare ogni esibizione a prescindere dalla quantità di pubblico presente nel locale. Nei cd – antitesi – le canzoni erano una spanna superiore rispetto alla media delle produzioni che bazzicano le stesse zone (indie, noise, emo, hardcore). La sintesi di tutto ciò è stato "Troncomorto". Il punto più alto di una carriera fatta di picchi artistici. Poveretto chi non sa di cosa si sta parlando. "Cane Gorilla Serpente", dunque. Non più per Fooltribe ma per la neonata Infecta. Una grattugia sonora che rende poltiglia le chitarre e marmellata la batteria. L'indie nella sua essenza più scarna. Cori da urlare ai concerti, in camera da letto, in metropolitana o dove diavolo volete ma – repetita juvant – da urlare. Ur-la-re. "Everybody", incitano i Redwormsfarm. Obiettivo: riportare la musica ai due concetti basilari del rock. Meno siamo e più ci divertiamo. Più ci divertiamo e più facciamo baccano. Un gran baccano, peraltro. "Beastie" apre il fuoco con una marcetta che attacca a testa bassa le casse dello stereo, con arrangiamenti saturi, valvolari, rumorosamente pop. Lo smalto è quello dei tempi migliori. "Forty Two" è uno dei pezzi più brutali e pirotecnici dei Vermi. Una chitarra sincopata che lentamente si dissolve in uno scenario imprevedibilmente ska core. Pare una barzelletta, ma tant'è. Il brano funziona. I Redwormsfarm di "Cane Gorilla Serpente" forzano così il loro stile. Mostrando muscoli ipertrofici e rabbia schiumante. Spingendo ancora di più sui distorsori. E lasciando a casa – sob – le melodie maestose dei primi, indimenticabili lavori. Ma in fondo è la naturale evoluzione della specie. E bisogna saper guardare oltre. "Cane Gorilla Serpente", quindi, porta in fattoria nuovi animali e cambia leggermente le carte in tavola. Il risultato spacca un bel po', anche se è mezzo gradino sotto i precedenti album dei RWF. E chissà se un giorno Matteo, Pierre e Marco non decideranno l'ennesima evoluzione e non sforneranno un disco electro o post rock. Non sembri una follia. Gli indizi ci sono già, seminati pazientemente negli anni. Li conserviamo con cura nei nostri ricordi. E loro tre – il cane, il gorilla, il serpente – hanno i mezzi, le idee e la bravura per poter fare questo. E ben altro.» (Manfredi Lamartina)
Rockon
«I vermi sono cresciuti. Sono diventati un cane, un gorilla, un serpente. La trasformazione. L’evoluzione animalesca. La consapevolezza d’essere diventati adulti. Il nuovo mondo che sfida l’universo. L’universo che sfida il mondo. I Redwormsfarm alle prese con l’universo. I Redwormsfarm e il loro atteso ritorno. I Redwormsfarm e la terza prova, il terzo capitolo, il terzo atto. Le bestie da palco. I Redwormsfarm e la nuova creatura, il nuovo album, “Cane Gorilla Serpente”. Il ritorno dei vermi a due anni di distanza dall’ottimo ed osannato “Amazing!”. “Cane Gorilla Serpente”, dieci tracce, venticinque minuti scarsi. Il post-punk. Il noise. Tutta la Dischord Records. I Fall, i Wire, i Sonic Youth, i Fugazi. I Redwormsfarm si trasformano, cambiano etichetta discografica (ora Infecta Suoni e Affini), diventano più cattivi, più maturi, sempre perfetti. Cane (Pierre), Gorilla (Teo) e Serpente (Marco), due chitarre ed una batteria. Dieci brani, una serie di rasoiate senza fronzoli, senza ghirigori carnevaleschi. “Cane Gorilla Serpente”, l’apoteosi sublime del punk, quello violento, quello scarno, diretto. Dieci tracce, dieci bombe (perché “Help Me!” è il miglior pezzo del terzetto padovano e perché “Kill My Brother” ti toglie il respiro). I Redwormsfarm e la terza magia. I Redwormsfarm e la terza prodezza. I Redwormsfarm e il punk tutto italiano. “Cane Gorilla Serpente”, il terzo scacco matto. Ancora senza parole. (9,5/10)» (Francesco Diodati)
Supermizzi
«Terzo album (senza contare singoli vari) in otto anni di carriera per i Redwormsfarm, che soprattutto grazie ai loro infuocati live si sono guadagnati fama e rispetto invidiabili, andando a costituire una vera e propria certezza dell'underground italiano. Li avevamo lasciati col precedente ottimo “Amazing” e li ritroviamo un paio d'anni dopo con un nuovo album che di italiano ha solo il titolo, “Cane gorilla serpente” e, giacchè la band è un trio, probabile che ciascuno strumento abbia un animale in cui identificarsi. Il cane potrebbe essere la voce, o meglio i coretti sguaiati e contagiosi. Il serpente è la chitarra, tagliente e velenosa. Il gorilla è la sezione ritmica: implacabile, robusta, ballabile. A parte scherzi e giochetti, i tre musicisti padovani scelgono uno schema facile, partendo dall'hardcore di stampo fugaziano per arrivare a una sconquassante miscela da dancefloor alternativo, dove si balla, si canta e si suda parecchio. Per ottenere i risultati migliori, puntano al sodo, essenziali fino all'osso, ma senza mai perdere di vista, oltre alla potenza, anche l'impatto melodico. Non c'è un pezzo noioso o malriuscito: perchè si dovrebbe chiedere di più?» (Guido Siliotto)
Vitaminic
«Con una metamorfosi degna dell’oroscopo cinese, i tre Red Worm’s Farm si sono trasformati in tre animali: il cane, il gorilla ed il serpente. La ferocia non gli è mai mancata, ma in Cane Gorilla Serpente si fa anche sfoggio di versatilità mentre le due bestie (amate o odiate) che vanno sotto il nome di forma e canzone vengono a far parte più saldamente della vocabolario della Fattoria (o, in genere, del Bestiario). La palla rimbalza sui due lati del quadrato Fugazi-Unwound con un tocco di melodia ed una morbidezza maggiore di quella dimostrata dai tre album precedenti: i call and response e le scale di basso incrinano gli assi di una manciata di quasi-filastrocche che raccontano di bugie e stati di fatto scomodi. Sono i padovani Pierre, Marco e Matteo che - con la veemenza che abbiamo imparato ad attendere di ascoltare rinnovata di disco in disco - dicono la loro anche sulla fertilità italiana del genere che, con le dovute differenze e somiglianze, infila nella pistola colpi a salve talmente fragorosi da sembrare veri proiettili. Qui ci sono dieci cartucce così dirette e precise che farebbero il loro lavoro alla grande anche nella canna di almeno un’altra allegra fattoria (quella dalle parti di Washington D.C., per intenderci…).» (Marina Pierri)